
"Guardo l'orologio, sono le undici e cinque.
Inizio a chiedermi fino a quando sia giusto rimanere in attesa."Devo darmi un termine" mi dico"."Se entro le undici e un quarto non arriva, me ne vado. Anzi, undici e mezzo...è meglio". Cerco di distrarmi osservando le persone attorno a me. Siamo in tanti, ognuno con i propri sogni, le proprie gioie, i propri dolori.
Undici e venti.
Michela non è ancora arrivata.Inizio a pensare seriamente che non verrà.
Decido di prolungare la mia attesa fino a mezzogiorno. Sarebbe troppo bello.
Sono triste, non sono più contento di averla incontrata. No adesso non riesco ad essere felice perchè mi aveva reso una persona migliore. Dovrei esserlo, se non altro perchè mi sta facendo sentire ridicolo.Seduto qui su questa sedia, con un paio di scarpe rosse in mano e delle lettere mai spedite, sono ridicolo.
Butto la testa indietro e guardo il cielo di Parigi, una lacrima mi scende lungo la guancia e mi entra nell'orecchio. Sento male alla pancia. Ripenso a tutte le cose che ho fatto per lei,a tutto quello che mi aveva fatto vivere.Da quando l'ho incontrata non mi sono mai annoiato, con lei o pensando a lei sono sempre stato bene; sono anche stato male, come adesso, mi sono sentito fragile e invincibile al tempo stesso. Ma sempre vivo.
All'improvviso mi rendo conto che sono pieno di quello che ho vissuto, ma che in mano non ho niente.Ho iniziato a ridere, pensando alla mia situazione.
Ridendo mi porto le mani alla faccia, come se mi vergognassi.
Su quel gesto all'improvviso vengo interrotto da un fischio..."
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